Alla partenza per il Marocco ti vengono dati una serie di consigli molto precisi sull’alimentazione:
“Solo cibi cotti!”
“Niente verdure crude, guai se la frutta ti viene servita già sbucciata!”
“Attenta ai cibi di strada!”
“Meglio declinare l’invito a bere te, le intenzioni sono buone ma chissà da dove viene l’acqua!”
“Mai, assolutamente mai, bere acqua che non sia in bottiglia! Già che ci sei usala anche per lavarti i denti.”
Poi parti.
La prima cosa che si nota è che questa cosa dell’acqua in bottiglia è ben chiara a tutti: te la portano nei locali, anche i più sperduti e alla buona, senza neanche bisogno di precisarlo o chiederlo.
Non solo. Si trova in vendita ovunque: nei negozi di alimentari, nei mercati, nei bar, nelle stazioni di servizio. Anche perché il prezzo è alto e sul turista dallo stomaco delicato il guadagno è certo.
Il primo giorno ti ritrovi a colazione a scrutare i tuoi compagni di viaggio: lo berranno il succo di arancia? E a pranzo, la mangeranno l’insalata servita con le brochettes di pollo?
Il cibo viene scrutato con sospetto. E’ potenzialmente velenoso per i nostri stomaci forestieri e può rovinare tutta la vacanza.
Poi cominci a spostarti. L’autista fa una deviazione appositamente per portarti nel paesino minuscolo di Anmiter, cresciuto sul fondo di una vallata, attorno al verde ed al ruscello Ounila, perché ci teneva a farti conoscere suo padre. L’uomo anziano, che racconta di aver lavorato in Belgio nelle miniere, ti fa accomodare nella sua sala, arredata con tappeti di lana annodata e cuscini, e su un basso tavolino tondo di offre mandorle e versa il te alla menta, bollente, in minuscoli bicchierini di vetro.
Ed è qui che i consigli di viaggio spariscono dalla mente mostrandosi assurdi e volgari. Rifiutare l’ospitalità di una persona onesta e gentile, genuinamente lieta di vederti e sapere chi sei e da dove vieni, non è concepibile.
Bevi.
Gusti il tuo primo te in Marocco, nella frescura di una casa di paglia e fango, all’ombra di un mandorlo cresciuto nel cortile interno di questa modesta casa e lasci cadere la barriera.
Non c’è più modo di fermarsi dopo.
Pranzi per dieci giorni filati con insalata fresca senza farti domande, perché hai accompagnato la guida Idriss al mercato ad acquistare le cipolle e i pomodori, i cetrioli e le olive, e poi li hai preparati insieme a lui.
Continui a bere acqua in bottiglia, sempre, perché non si sa mai, e ti ci lavi anche i denti perché l’igiene è importante, ma lo sai che l’acqua per cucinare, e lavare le verdure, e lavare i piatti e le pentole viene dal pozzo scavato nella sabbia dell’oasi in cui ti sei fermato dopo ore di pista nel deserto. E sorridi.
Non la bevi perché non puoi scardinare le regole ma entra comunque in te, ed è buona.
E poi bevi ancora te, prima di ogni pranzo, o cena, o in visita. Non lo rifiuti più, è buonissimo, dolce e aromatico, è il tuo nuovo rito ad ogni sosta o arrivo.
Un giorno, insieme al te, ti servono anche dei dolcetti che ha preparato la padrona di casa. Tu non sai come sia questa donna, che per uso e tradizione resta celata in cucina, ma lei ti invia piccole rose di pasta filo croccanti e appiccicose di miele. Sono buonissime le piccole CHEBAKIA, gustate nella frescura della casa di Rhamlia, in un assolato pomeriggio di viaggio. Vorrei aver scambiato qualche parola, con quella donna, per ringraziarla. Lei non può rivolgermi la parola, ma mi ha salutato con un piatto che nessuna regola alimentare poteva farmi rifiutare.
E quando il viaggio continua, decidi che è il momento di gustare manciate di arachidi, salate, pralinate o ricoperte di sesamo, vendute nei mercati dei paesi, nascoste in botteghe modeste, toccate da chissà quali mani….ma diventano compagne di viaggio, irrinunciabili fino alla fine, innaffiate, questo si, con generose sorsate di acqua in bottiglia.
Gusti fette di arancio, e meloni piccoli e dolcissimi, dolcetti disposti in montagne sulle bancarelle, pagnotte fragranti appena sfornate, olive saporite e piccanti che ti macchiano le dita…
Un te alla menta val bene un mal di pancia.
di Paola Urbinati
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